37.

Vita nel Chianti

1996

Olio su cartone intelato, cm 50×70.
In basso a destra: Tirinnanzi.
Provenienza: raccolta privata, Monaco di Baviera; raccolta privata, Firenze.

Esposizioni: Nino Tirinnanzi. Tante vite e infine una, a cura di G. Faccenda, Palazzo Sacrati Strozzi, Firenze, 21 dicembre 2022-21 gennaio 2023, riprodotto in cat. p. 107, n. 46.

Nel Catalogo Generale delle Opere, primo volume, del 2015, cit., p. 9: «Ricordo una conversazione estiva con Mario Tobino, mentre rubavamo l’ombra ai muri risalendo la via Vecchia Fiesolana. A un certo punto, guardando la città che si distende oltre gli ulivi, il viso dello scrittore assunse una smorfia irrequieta e lui sospirò parole di una malinconia amara: «Non credere che Firenze abbia costretto all’esilio soltanto chi se ne è andato, perché è accaduta la stessa cosa anche a chi vi è rimasto. Uguale, infatti, è stata l’emarginazione, la solitudine, la gelida indifferenza. Pensa a un pittore come Tirinnanzi: incompreso, svilito, confuso, per quello che ha fatto e per come lo ha fatto meriterebbe davvero un premio alla resistenza. E certo non basterebbe».

Già, perché altro, oggi, è il debito da saldare con questo protagonista della «Generazione del Venti» e della pittura italiana del secondo Novecento, uno dei pochi, autentici punti di riferimento in una stagione avara di ingegni e di bella pittura. Così, mentre mi accingo a concludere la mia sommaria riflessione, realizzo di non aver detto che il minimo indispensabile sulla rarefatta ricercatezza dei suoi ritratti e delle sue nature morte, dei paesaggi, dei vicoli, delle misteriose strade che piegano sempre verso una curva, dietro la quale, sovente, un gruppo di ragazzi gioca spensierato. Forse il Tirinnanzi più noto. Quello delle beatitudini del paesaggio toscano, ma anche dell’infinito fascino dell’Oriente. Il pittore che non si è fermato a Rosai. E neppure a Firenze.»